sabato 16 febbraio 2008

La maternità era un evento molto privato e la donna solitamente lo teneva nascosto almeno per i primi mesi e rendeva partecipi dell'evento solo i familiari più stretti. All’epoca non esisteva l'ecografia quindi per conoscere il sesso del bambino, si ricorreva quindi a quelli degli avi. Il più comune deduceva il sesso del nascituro dalla forma della pancia della mamma: la pancia larga sui fianchi indicava che sarebbe nata una femmina, a punta un maschio.
Durante la gravidanza la donna, se desiderava in modo intenso qualcosa da mangiare, evitava di toccarsi sul corpo perché si credeva che se lo avesse fatto il bambino sarebbe nato cun su disigiu , ossia con la voglia dei cibi desiderati sulla pelle. Per la salute e per la vita della puerpera e del bambino era necessario chi su pipiu ndi pighessidi totus is lunasa , che il bambino prendesse tutte le lune, cioè che il periodo della gravidanza ricoprisse nove cicli lunari. Si credeva, infatti, che se il bambino fosse nato dopo solo otto mesi di gravidanza no si bieda sa mamma cun su fillu , ossia la madre e il figlio non avrebbero avuto la possibilità di conoscersi, in quanto l'uno, l'altra o entrambi sarebbero morti prima o durante il parto.
Per scaramanzia la mamma preparava is spoglieddasa , il corredino, solo al termine della gravidanza: sa camisedda, sa bambinedda, su cambusciu, is pannitzusu, su giponeddu, d'estate di millerighe e d'inverno di mollettone (la camicina, il vestitino, la cuffietta, i panni, la giacchina). I bambini erano fasciati con panni triangolari tenuti fermi con le spille da balia e, inoltre, avvolti dalla vita in giù con delle fasce che in teoria avrebbero dovuto rinforzarne le ossa e impedire che gli venissero le gambe storte. In realtà evita semplicemente il piegamento della spina dorsale. Il parto avveniva in casa. La donna era assistita dalla madre, dalla suocera e da sa maista ‘e partu , una donna, in genere, anziana che aveva acquisito con l'esperienza le tecniche per aiutare le partorienti. In seguito, non in tutti i paesi, si ricorse all’assistenza de sa levadora, la levatrice che era un'impiegata comunale, assunta tramite concorso che aveva il dovere, secondo l'uso locale: assistere la partoriente dall'inizio alla fine del parto; lavare e vestire il bambino per i primi otto giorni, presentarlo al battesimo, lavare la prima camicia della puerpera e accompagnarla in chiesa po s'incresiai, per ricevere la benedizione dal prete. Si ricorreva comunque al medico solo in casi estremi.
Ricordo perfettamente, avendo altri sette fratelli, che la sera della nascita i figli erano inviati presso un parente o di una famiglia amica, affinché la casa fosse completamente a disposizione per il dolce evento. Altre volte i bambini venivano inviati tutti in una stanza con il divieto assoluto di uscire. E si restava in attesa, per lunghe ore per sentire il primo vagito, poi tutti in camera per salutare e accarezzare l'ultimo arrivato. Dal giorno successivo cominciavano i preparativi per il battesimo. Il rito era celebrato generalmente all'ottavo giorno dalla nascita, pena i rimproveri degli anziani preoccupati del fatto che il bambino potesse morire senza questo sacramento. Al battesimo partecipavano, in genere, il padre e i padrini.
Questi ultimi erano scelti con cura perché si credeva che su filloru ndi pighessiri i donusu, cioè che il figlioccio ne ereditasse le qualità morali. Il padre del bambino si recava appositamente a casa dei prescelti per chiedere loro sa caridadi de du fai cristianu , la carità di farlo cristiano. Raramente tale richiesta era disattesa. Chi lo faceva era malvisto dalla comunità perché rifiutava di fare, appunto, un'opera di carità. Un legame speciale, su santuanni , spesso più forte di quello con i parenti, si instaurava tra i genitori e i padrini che, da quel momento, si davano reciprocamente del voi e si chiamavano con i nomi di gopai e gomai , compare e comare. Dopo il battesimo, era consuetudine offrire su cumbidu. I padrini regalavano ai figliocci la catenina d'oro, oppure is pramixeddasa , gli orecchini piccoli e appuntiti con cui si faceva il buco alle orecchie, e s'aneddu de oru , l'anello d'oro, quest'ultimo soprattutto ai maschietti.

domenica 10 febbraio 2008

La mia Sartiglia.......

Da 37 lunghi anni non vedevo, anzi, non vivevo lo spettacolo della mia sartiglia. Quest’anno anche se fisicamente davanti al monitor della tv, il mio cuore, la mia mente e la mia anima erano li, sullo splendido percorso, in mezzo alla folla a riscattare la mia lunga assenza. Guardo emozionato l’ esibizione coraggiosa dei contadini "balenti", "i valorosi", che compiono la propria effimera ascesa sociale travestendosi da cavalieri e giocando il torneo della Sartiglia. Ma anche nella festa cavalleresca portano con sé l'unico reale avversario che li condiziona: la propria sorte, ovvero la scommessa con il destino. Con la spada in resta i cavalieri si sono scagliati al galoppo contro l’ astro lontano, sospeso o un filo, irraggiungibile come la fortuna. La loro bravura è stata ampiamente premiata con 24 stelle, un bottino eccezionale che è di buon augurio per un’ annata colma di fecondità.
Sì, perché a Oristano la giostra medioevale si unisce alla magia dei riti di propiziazione per il ritorno della primavera e la fecondazione delle campagne. La stella è la Yoni della Grande Madre è l'asta del cavaliere il Ligam in grado di fecondarla.
Si contano le stelle infilate per avere presagi sul raccolto. Attrus onnus mellus hanno gridato quando i cavalieri, quando è finita la contesa: "meglio per gli anni futuri".
Il mazzo di pervinca e viole con cui il Componidori, ha tracciato grandi segni di croce sugli spettatori ha origini più pagane che cristiane. Il nome confidenziale di pippia de maiu, (pupa di maggio) ha le ascendenze antiche dei maggi, i mazzi, le ghirlande, gli alberi interi che apparivano nelle cerimonie orientali per celebrare la primavera. Chi se ne impossessava si impadroniva della primavera stessa e poteva dispensare fecondità e benessere. Così oggi è stato per il Componidori, issato sul suo cavallo, dietro la maestosa immobilità della maschera. Scintille di felicità brillano intorno a me oggi c'è qualcosa di strano in questo rullare e lo sento talmente mio che sembra suonino per me.
Dopo la sfilata faccio ritorno con la mente verso la cattedrale, verso casa mia che è a circa 100 metri, mi sembra di percorrere la strada come tante volte ho fatto e migliaia di stelline brillano intorno a me, come moscerini in una pozzanghera mezza asciutta. Ma questa volta npn dovrò caminare infreddolito, questa volta mi basta schiacciare un tasto e spegnere la tv. Ho vissuto una giornata particolare tra la mia gente a sognare, a sperare che il cavaliere sconosiuto infilzasse la stella, a gioire per la vittoria.

Ma poi tutto é finito, tutto è finito e rimane la nostalgia e penso che la stella sarà sempre stella, la maschera sempre maschera, la spada sempre spada, il costume sempre costume, il cavallo sempre cavallo, l'uomo sempre uomo, il ritmo dei tamburi sempre ritmo, Oristano sempre Oristano, Sartiglia sempre Sartiglia. Componidori sempre Componidori, e che prima o poi parteciperò e vivrò veramente.