martedì 29 aprile 2008

Sulla sicurezza molte parole ma ora servono i fatti…

Dopo questi mesi di promesse, speriamo non da marinai, dell'ultima campagna elettorale, dopo gli spot finalizzati al consenso, dopo che dalle urne sono emersi consenso o dissenso, il susseguirsi di fatti inaccettabili per una nazione cosiddetta civile, l'amara realtà ci riporta con i piedi per terra e ci mostra ancora una volta violenza all'ennesima potenza sulle donne e sui bambini indifesi.
Abbiamo speso fiumi di parole e in Italia ancora non è cambiato nulla. Abbiamo collezionato fenomeni delinquenziali senza che le Istituzioni li abbiano fronteggiati a dovere. Un Paese che ha detto a chiare lettere di volere la sicurezza, merita che la classe politica, tutta la classe politica, faccia barriera e inizi davvero a ragionare a larghe intese per porre soluzione alla gravita e all'urgenza del problema. Certezza della pena e celerità dei giudizi sono il minimo che si deve fare, poi rispetto delle regole e rispetto del lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura, che vedono altrimenti invalidato il loro lavoro sono il naturale e indispensabile compendio. È troppo sperare che anche i nostri istituti di pena non funzionino solo come alberghi a 5 stelle per tanti delinquenti che, nel nostro sistema di detenzione vedono, all'occorrenza, solo un comodo e ben sopportabile soggiorno che non funziona certo da deterrente per loro, ma tanto pesa sulle tasche dei cittadini?
È troppo sperare che un giorno non sentiremo più dire: «La polizia li prende ma il giorno dopo sono già fuori...»?
È troppo sperare che il capo del carroccio smetta di blaterare contro Roma ladrona e contro la gente del sud, e gli stranieri.
È troppo sperare che i sindaci leghisti del Nord Italia la smettano di applicare ordinanze assurde tipo non celebrare matrimoni misti, sostenendo di sentirsi più vicini ai timori delle persone comuni. Come se questo fosse l’unico rimedio all'illegalità.
La gente è esasperata dall'esponenziale crescita della criminalità, ma come si combatte il problema?
Probabilmente non chiudendoci dentro al guscio dei nostri confini, etichettando come pericoloso tutto quello che viene da lontano o che è culturalmente diverso da noi. La politica ha il compito di delineare come intervenire sui temi della sicurezza, le autorità hanno il compito di proteggere i cittadini, tutti i cittadini, e far rispettare le leggi; i cittadini hanno il compito di denunciare laddove necessario tutto ciò che non funziona.
Allora va bene la lotta all'abusivismo, va bene imporre espulsioni nei confronti di soggetti o comunità pericolose per il bene comune, va bene far rispettare nei minimi dettagli senza possibilità di sgarro la legge. Ma va bene anche dove c'è uno spiraglio di integrazione tendere una mano, fare delle scelte diverse.
È troppo sperare che il pienone delle carceri non sia più un motivo valido per concedere condoni e per creare il pienone delinquenziale fuori dalle mura?
Cari politici, svestite gli abiti da marinai e fatevi paladini dei problemi reali della gente che vi ha eletti, e fateci tornare a camminare in tranquillità per le vie delle nostre città.
Cari politici, spogliatevi dei diversi, colorati vestiti della competizione e non fate più orecchie da mercanti, voi sapete bene che ci saranno nuove elezioni e gli italiani non sono degli imbecilli e possono ancora una volta capovolgere l’attuale situazione. Non pensate solo ai lauti stipendi, e alle agevolazioni che da oggi godrete, non pensate solo ad occupare le vellutate poltrone, ma tirate su il culo e lavorate per l’Italia, per questo vi abbiamo eletti e non certo per prenderlo ancora una volta nel di dietro… non siamo masochisti e la nostra pazienza è finitaaaaaaaaaaa.

sabato 26 aprile 2008

Un’offesa per chi ha sempre lavorato…

I politici che hanno perso le elezioni,hanno perso la poltrona ma il loro portafoglio rimane sempre è molto pieno e ricco. Nel giornale L'espresso in edicola questa settimana vi è uno stralcio del testo di Francesca Schianchi sulle indennità che consoleranno, a nostre spese, i parlamentari sconfitti di destra, sinistra e centro.

Pensione e liquidazione

Fausto Bertinotti: - Oltre 6 mila euro al mese più altri 131.068 una tantum di vitalizio e il tfr. Ha lasciato lo scranno più alto di Montecitorio, si consola con un bell’ufficio e il diritto a quattro collaboratori e in più la presidenza della Fondazione Camera dei deputati (senza stipendio).

Generosi vitalizi e assegni di fine mandato (“reinserimento nella vita sociale”) sono però la consolazione anche di altri illustri esclusi.

Ciriaco De Mita: per 43 anni di Parlamento (prima con la Dc, poi con la Margherita, infine candidato ma non eletto con l’Udc) 9.947 euro al mese di pensione e 112.344 di tfr, solo per gli ultimi 12 anni consecutivamente in carica.

Angelo Sanza (anche lui ex Dc, Fi, non rieletto con l’Udc), 36 anni tra i banchi, 9.947 euro al mese di pensione e buonuscita di 337.032 euro.

Francesco D’Onofrio (22 anni, prima con la Dc poi con l’Udc) Ottomila 828 euro al mese e fine mandato di 168.516 euro, solo per gli ultimi 18 anni.

Gavino Angius (ex Ds, non rieletto con i socialisti): 21 anni, vitalizio di 8.641 e liquidazione di 196.602.

Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi): 6.963 euro di pensione e 149.792 di liquidazione per sedici anni di carriera.

Teodoro Buontempo (La Destra): 6.963 euro di pensione e 149.792 di liquidazione per sedici anni di carriera.

Cesare Salvi (Sinistra democratica) 6.963 euro di pensione e 153.664 euro di tfr.


Oliviero Diliberto (Pdci) ha diritto 6.217 euro al mese e 131.068 di fine mandato, come Bertinotti.


Enrico Boselli (partito Socialista) hanno diritto ha diritto 6.217 euro al mese e 131.068 di fine mandato.


Franco Giordano (Prc) 12 anni di Montecitorio 5.471 euro di vitalizio e 112.344 di buonuscita.


Paolo Cento (Verdi) 12 anni di Montecitorio significano 5.471 euro di vitalizio e 112.344 di buonuscita.

Francesco Storace (La Destra): per otto anni 3.978 euro e 19.208 di fine mandato, per gli ultimi due anni.

Daniela Santanché (candidata premier per La Destra) che, con sette anni, accumula 3.605 euro di pensione e 65.534 di tfr.

W la generosità dei contribuenti italiani.

martedì 22 aprile 2008

Mostri Sardi

In questo post vi propongo un interessantissimo lavoro di catalogazione e rielaborazione degli esseri fantastici della nostra splendida isola. Ho preso spunto da una raccolta di Gianluca Medas, nel link che segue potrete visitare la pubblicazione originale intitolata: “ Mostri in mostra Umbras”. http://web.tiscali.it/umbras/index.html

AMMUTADORE
È un essere che agisce collegato con il sonno della sua preda. Si capisce che si è introdotto nel sonno perché provoca una sensazione di angoscia, soffocamento e oppressione nel malcapitato. Essendo un incubo è estremamente difficile cacciarlo via. È il terrore dei pastori che dormono in aperta campagna, poiché li attacca alle spalle, mentre sono indifesi nel sonno, soffocandoli con i suoi artigli. Non è facile cacciarlo via, ci sono alcune formule segrete che conoscono alcune vecchine.Altri nomi con cui viene chiamato questo incubo: AMMUNTADORE - AMMUTTAROI - MUNTADORI - MUTAROLLA

BRUJA, BRUSCIA
(brùsa, bru(i)xa = dallo spagnolo, meretrice, prostituta) Anche la bruja, come la coga, è principalmente una strega e in questo caso si va anche perdendo l'aspetto ematofago che si ritrova solo nelle zone di colonizzazione catalana (Alghero e nel campidano, dove viene oggi confusa con la coga a causa di una perdita di significato dovuta al tempo). La bruja quindi è bella e strega, tanto istintiva e selvaggia da essere avvicinata ad una donna di mal'affare o di facili costumi. Può certamente divenire moglie e madre ma manterrà sempre il suo aspetto notturno pregno di magia e istintualità.

COGA
Il nome deriva direttamente dalla pratica magica a base di erbe con le quali si preparavano filtri in particolare d'amore (appare una chiara origine dal latino coquere); femminile coga, maschile cogu, la "s" ne indica il plurale. Sono streghe presenti soprattutto al centro-nord e in particolare nel campidanese Si tratta generalmente di una donna malvagia che vive ai margini della vita del paese, vestita sempre di nero, maleodorante, con il volto profondamente scavato. Conosce le erbe e le loro funzioni. Recita formule magiche, prepara filtri per il malocchio, costruisce bambole di pezza, prepara filtri d'amore, fa morire le bestie con la forza della parola, ed altre nefandezze innominabili. È amica del diavolo. Il suo è un vero lavoro. È destinata ad essere Koga fin dalla nascita, come una condanna. Sa interpretare il lamento della STRIA e legge nel fondo del caffè. Viene avvicinata solo da fidanzate disilluse o illuse, da mogli stufe ed invidiose, e da banditi in cerca del felce maschio. Conduce una vita miserevole lontana da tutti temuta e disprezzata da tutti senza lasciare in eredità le sue terribili conoscenze.

GENTILES
Sono i più antichi abitatori dell'isola (ANTIGUS ANTIGOS), di statura gigantesca e forza sovraumana, hanno in genere un bell'aspetto, in alcune paristorias (leggende) si dice che avessero un occhio solo. Alcune grotte dell'interno, secondo qualche pastore, conservano i segni del loro passaggio. A loro si deve la costruzione dei monumenti funerari megalitici. In alcune leggende si racconta che ricevettero da EUSUPRIMUSONNENDI l'incarico di pastori della terra, per prepararla alla presenza dell'uomo. Uomo che in antichità ha avuto rapporti con queste figure leggendarie, e che da loro ha imparato a costruire le case di pietra, i NURAGHES. I GENTILES si muovevano cavalcando fascine di legna. Oggi il loro compito di pascolare la terra non è venuto meno, ma non si fanno più vedere dall'uomo con il quale non hanno più alcun rapporto. I numerosi incendi, la siccità, sono i segni del loro costante allontanamento. Si nascondono, secondo un pastore di NURAXI NIEDDU, tra i pochi alberi fitti rimasti in Barbaggia.

IL BALLO DEI MORTI
Può capitare che la notte si senta un suono di launeddas e il vociare di uomini e donne provenire da una chiesa. Questi, in allegria, cantano e ballano, invitando i pochi passanti notturni ad entrare e fare festa con loro. Sono i morti, che in alcuni giorni dell'anno scendono in terra sacra per fare festa, tuttavia non bisogna accettare il loro invito a ballare, poiché i loro piedi non toccano il pavimento, e potrebbe essere fatale. I vecchi lo sanno e all'invito dei morti sorridono e declinano l'invito. Ma c'è sempre qualcuno che non sa… ed i morti che ballano questo lo sanno.

IL MALIGNO
Nella TERRA A FORMA DI SANDALO alcuni nomi: AREMIGU - BALENTE - BEKKU - BESTIA - DIAULU - ZAMPADIADDU - FORASDENOSU - FORASDOMINE - INGANNADORE - LUSBE' - KODICELLA - KOAS DE FOGU- LUTTSIFERRU - MASKINGANNA - PUDIDU - PUTTSA - TENTADORI. Molti di questi spiriti maligni sono giunti dal mare, portati dal sapere dei MAZIABREBUS. Questi spiriti malvagi si incontrano la maggior parte in queste notti: di San Giacomo, di San Giovanni Battista, del Sabato Santo. Luoghi dove preferibilmente si manifestano:nei crocevia, nei luoghi sacri abbandonati, nei cimiteri, tra le piante di fico. Luoghi da evitare la notte dove si possono incontrare: davanti agli specchi, le acque dei pozzi, le sorgenti, i ruscelli, alcuni nuraghi e alcune grotte si dice siano custoditi da loro. L'incontro con uno spirito malvagio è assai temuto, perché tali esseri procurano spavento, cercano di sfruttare l'ingenuità con l'inganno, e scombinano la vita di chi incontrano. In particolare l'incontro con S'AREMIGU (già parente lontando dello AZATOH di ABDUL ALHAZRED del NECRONOMICON) può provocare la demenza in chi lo vede e disperdere il bestiame dei pastori come un vento impetuoso.

ISKULTONE (o Skrutsoni)
Secondo alcuni si tratta di uno STELLIONE (o TARENTULA MAURITANICA) rimasto in letargo sotto terra per 10 anni. Secondo altre fonti si tratta di un serpente o di un rettile di grosse dimensioni, altri ancora lo descrivono come un drago dalla sette teste con una croce in cristallo sulla fronte che chi riuscirà a prendere avrà fortuna per 5 generazioni. In realtà nessuno l'ha mai visto, perché queste specie di mostro si nasconde alla vista, anche perché la sua comparsa è assai pericolosa, il suo soffio, infatti, può uccidere, così pure il suo sguardo. Chi lo incontra, se non lo vede prima che lui lo veda, muore di colpo. S'iskultone a BESSEDU ha perfino rapito delle donne.

JANA, JANAS
La jana è una strega che si confonde con la fata. Eccetto che per alcune regioni dove mantiene il suo aspetto vampirico, la jana ha comportamenti tipici della sfera fatata. Se ci si avvicinava alle caverne che loro abitavano (le domus de janas) erano infatti capaci di stendere un velo bianco che ricopriva l'intera pianura incantando di meraviglia il viandante che veniva quindi rapito da servili nani crudeli. Queste leggende ricordano da vicino quelle più nordiche del Cerchio delle fate o delle grotte fatate. Sono di aspetto piccino e bellissime, e tessono su telai d'oro. Si dice che proteggano le grotte naturali, i dolmen e i vecchi edifici e alcune erano in grado di predire il futuro. A volte abitano anche i nuraghi e in questi casi non sono minute ma anzi gigantesse dagli enormi seni. Alcune però non erano pacifiche fate ma tipiche streghe malvagie: a Tonàra, Isilli e Asùni vivono in caverne, rapiscono i bambini e hanno una regina, Sa Jana Maìsta, che assale gli uomini che passano vicino alla sua grotta per succhiargli il sangue e poi rinchiudersi nella caverna e partorire dei figli. Particolare è poi la figura di Lucia Arrabiosa, o Giorgìa Raiòsa. Molto conosciuta che infatti viene descritta diversamente in base alle zone: ora donna avara trasformata in pietra per punizione (vedi la Domu de Orgìa nella pagina sulla storia sarda "Preistoria-Nuragica"), ora una gigantessa che porta sul capo enormi massi, ora una creatura mostruosa dalle lunghissime mammelle e con una lingua lunghissima che usa per infornare il pane, ora una potente alleata del diavolo che con esso costruisce i famosi passaggi sotterranei o, infine, una potente fata benefica che tesse nella sua casa nascosta tra le rocce. Le janas quindi sono fate, in alcuni casi si cibano di sangue e hanno una Regina (Jana Maista).

KADDOS BIRDES
Sono cavalli dal manto verde famosi per la loro bellezza. Difficili da incontrare, i cavallini verdi, sono dotati di poteri magici. Le paristorias dicono che il re di Monteleone e quello di Bisarcio ne possedevano uno. Il possesso di questi cavallini fu causa di guerre e della scomparsa di alcune città antiche (BARACE, e SANT'ANTIOCO di BISARCIO). Bisogna anche dire che avvicinare il cavallino verde è difficile, nessuno l'ha mai cavalcato. Appare all'improvviso così come all'improvviso scompare. Può essere che nella terra a forma di sandalo uno o due esemplari circolino ancora, un po come la foca monaca, un tempo amica e alleata dei Giganti, della quale restano un paio di esemplari. Una leggenda dice che quando ETEDLLA BILDE (è questo il nome di uno di loro) si farà cavalcare il giorno del re pastore verrà.

MARIA FARRANKA
Spirito che vive dentro i pozzi. Sta in letargo dentro un bozzolo, in attesa che qualcuno si affacci. Risvegliatasi lentamente Maria Farranka si arrampica verso lo sfortunato, fino ad acchiapparlo con i suoi artigli, gettandolo giù. Maria Farranka trasforma la sua vittima in un maialino, che andrà ad aggiungersi al branco che vive e pascola nelle strade scavate sotto terra. Nella terra a forma di sandalo, si trovano più di mille tunnel scavati da SOS ORIGANTES, un antichissimo popolo del quale sono rimaste pochissime e misteriose tracce. Queste strade sotterranee oggi vengono utilizzate esclusivamente da Maria Farranca, che se ne è impossessata proclamandosi regina. Principali vittime di Maria Farranka sono i bambini disobbedienti che si avvicinano troppo ai un pozzi disobbedendo alla loro mamma. Altri nomi: MARIA PUTZU, MAMA E'FUNTANA

MASKINGANNA
Significato del nome: Maestro degli inganni. A volte è una voce che chiama i dormienti (a PAULILATINO) i quali si svegliano terrorizzati in un bagno di sudore. Altre volte si comporta da spirito burlone, apparendo sotto forma di bambino piangente, o di oggetto che appare e scompare. Le sue azioni non hanno un senso logico, tutto ciò che fa, nasce dal desiderio di divertirsi nel compiere azioni che fanno spaventare le persone. Per cacciarlo via basta fare un segno della croce e gridare: "NOSTRA SIGNORA MIA" oppure, urinare la propria mano e gettarsi alle spalle il liquido.

MOMOTTI
Nessuno mai l'ha visto, quasi tutti l'hanno sentito camminare vicino al proprio letto. Si aggira vestito di un grande mantello color notte che ricopre il suo corpo. Nella mano sinistra tiene una grande sacca dentro la quale sistema le sue prede…i BAMBINI disobbedienti. Il suo nome è antico, più degli antichi romani e certamente nasconde lontane leggende dei SARDOPELLITI. Altri nomi: Bobbotti - Babborku - Bobboi - Mammone.

PANAS
Sono donne morte di parto condannate a tornare sulla terra, nelle ore notturne, ed a recarsi al fiume, per lavare i panni del parto, macchiati di sangue e le fasce del bambino. Per evitare tale condanna si usava mettere nella bara della puerpera un ago infilato col filo non annodato, affinche la defunta rimanesse occupata a cucire il corredo per il bambino e tralasciasse così di andare a lavare al fiume. Si trasformano in PANAS anche le ragazze nubili, rimaste incinte, che vengono affogate dai parenti in piccoli bacini d'acqua.

SA PALPAECCIA
È una vecchia che la notte di Natale mette una grossa pietra sulla pancia dei bambini "capricciosi" che non vogliono mai mangiare. Si aggira nelle strade ed ascolta i bambini che si lamentano con i genitori: "questo non mi piace; quest'altro mi fa schifo". La notte si introduce nelle case di questi passando attraverso la finestra, si nasconde nel buio e quando il bambino dorme gli mette sulla pancia l'enorme masso.
Si dice che i bambini che l'hanno incontrata hanno ripreso a mangiare con appetito. Chissà perché.

SA SURBILE
Sùrbile, sùrbentile (sùrbile, sùrvile, sùyvile = assorbente, che assorbe, strega, maga, vampiro) Il nome indica molte realtà diverse a seconda della zona in cui viene usato: a Marghine surbentile significa vampiro, a Ghilarza invece folletto. La strega vampiro. Si tratta di persone viventi che perlopiù conducono una vita normale, ma che sono irresistibilmente attratte dal sangue di bambino, e per soddisfare il loro desiderio sfruttano il potere di trasformarsi in mosca e di volare. L'aspetto esteriore spesso non permette di identificarle con certezza, tuttavia, alcune fonti, descrivono alcune caratteristiche che possono svelare una SURBILE: La Bruttezza è già di per se fonte di sospetto; poi il portamento trasandato, i capelli spettinati, le unghie lunghe, ed il corpo peloso. Un segno di riconoscimento nascosto tuttavia può svelarle; la coda. In qualche caso di Acciaio, di ferro, o a Forma di falce. Il più delle volte le SURBILES hanno una croce pelosa sulla schiena. Si diventa Surbiles: 1) facendo un patto con il diavolo2) nascendo la notte di Natale, a mezzanotte. 3) nascendo settima figlia femmina. I paesi delle streghe vampiro sono VILLACIDRO e BIDONI'. Ancora oggi numerose sono le testimonianze che raccontano Contos o Paristoras che le vedono protagoniste. Per liberarsi di una SURBILE è sufficiente indossare un capo al contrario, o gettare per aria un copricapo.

SA SURTORE
folletti domestici (sa surtora al femminile, sa surtore al maschile) che portano uno o più copricapo che contiene sempre il numero 7 (sette cappelli, sette pieghe, ecc...) e che nasconde un tesoro.

SA MUSCA MACEDDA
È una mosca dalle proporzioni enormi (grande come la testa di un bue) generalmente fornita di un pungiglione velenosissimo, di ali potenti, il cui ronzio viene sentito per alcuni chilometri. A causa della Mosca Macedda sono scomparsi paesi, si dice che i mille sotterranei che percorrono la terra a forma di Sandalo fossero stati costruiti per sfuggire al suo assalto. La minaccia della Mosca Macedda è subdola, spesso si nasconde in un tesoro, della quale si fa custode, in attesa di qualcuno che la risvegli e così riprendere la caccia. Spesso mosca e tesoro sono nascosti in due contenitori diversi, così da dare una possibilità di sopravvivenza al ricercatore di tesori. Di sicuro la presenza di una sola Mosca macedda può costiuire una minaccia per il genere umano. Una volta ad Iglesias un frate suonò una musica formado con l'aiuto della popolazione un cerchio magico, grazie a questo riuscì catturarne un intero sciame, sistemando le mosche in sette botti, che ancora oggi sono nascoste sotto il castello. Nessuno allora si prese la briga di segnare le note suonate da frate.

S'ERKITU (o uomo bue)
Letteralmente: L'URLO. È un uomo che si trasforma in un Bue, dal corpo di uomo. Testa e zampe, e pelle di Bue, questo si aggira la notte, per le strade del paese, mugghiando spaventosamente per annunciare la morte. E la, dove l'ha annusata, batte per tre volte lo zoccolo sul selciato e passa. L'Erkitu ha due grandi corna di acciaio sulle quali stanno accese due candele. La condanna ad essere Erkitu è terribile e viene detterminata da una colpa commessa; in genere un omicidio rimasto impunito. La metamorfosi avviene gradualmente e con grande spavento dell'uomo che muta. Lo spegnimento della candela o il taglio delle corna costituiscono l'unico mezzo conosciuto per liberare il condannato dalla penitenza. La mattina s'erkitu si ritrasforma in uomo ritrovandosi esausto nella sua stanza. Nessuno puo spezzare questo incantesimo, se non rischiando la propria vita, affrontando in un corpo a corpo mortale l'essere e spegnere le sue candele o spezzandogli le corna. Conosciuto anche come Boe Muliache e 'oe 'e burrone

SU PUNDACCIU
Il suo nome deriva da PONDUS – PENDERE. Si tratta di un folletto burlone che ha l'abitudine di divertirsi sedendo sulla pancia dei dormienti. Nel sonno la sensazione è quella di avere fatto indigestione. Veste di velluto blu ed in testa ha una berretta rossa (qualche volta ne ha più di una, si arriva perfino a sette berrette - vedi il Baottu de Setti Berrittas di Bosa). Ogni Pundacciu custodisce un tesoro, se si riesce a levargli la berretta prima che fugga è costretto a svelare dove si trova. Ad Ittiereddu un anziano ci ha raccontato di un Pundacciu che ancora oggi vaga alla ricerca del suo tesoro che ha dovuto regalare ad una bambina furba. Altri nomi: Pesadiglia - Matzamurreddu

SA MISSA PROFONDA
Per far accettare l'inferno ad un dannato è necessario celebrare SA MISSA PRUFUNDA. Si tratta di una liturgia particolare celebrata con candele nere ed a cui assistono solo i defunti. Non bisogna andarci se non invitati, perché si può impazzire per lo spavento. I partecipanti devono essere uomini molto coraggiosi ed armati, i quali hanno il compito di sparare durante l'elevazione.

SA MAMA E SU SOLE
È una vecchina ricoperta da un lenzuolo bianco che si aggira nelle ore assolate in cerca di bambini disobbedienti che non riposano dopo pranzo. Se li trova brucia loro la fronte costringendoli a letto con un forte febbrone, e una cicatrice. Fonti edite: Deledda, Calvia, Palomba.

SA MAMA E SU BENTU
Nelle giornate di vento passa accompagnata dal marito Uragano, seguita dai suoi figli, sempre affamati e alquanto scostanti. Quando è di malumore graffia il volto dei bambini disobbedienti, tuttavia non è cattiva. Ma se il bambino si trovasse alla presenza di uno dei suoi figli...

SA STRIA
strie (dal latino, etimologia conosciuta = uccello notturno. Usato in molte zone d'Italia per indicare le streghe). Tra tutte essa appare le più vicina a pratiche demoniaco-malefiche a causa del conservamento in Sardegna della credenza romana, secondo cui la strige (la civetta e/o per somiglianza il barbagianni) uccide i neonati in culla succhiandogli il sangue, mantenuta nell'isola fino oltre la seconda metà del 1700. Ma al contempo i sardi attribuivano a questo animale anche proprietà terapeutiche tanto che bruciandone le piume e bevendone con acqua le ceneri si aveva un ottimo rimedio all'itterizia. Così si ha una strega dal duplice aspetto e dai vasti poteri: guaritrice ma anche assetata di sangue d'infanti, che terrorizza e intimorisce buona parte del nord dell'isola e che può trasformare il suo corpo anche in oggetti al fine di perseguire i propri scopi. La stria è presente anche in forme aggregate, lavora assieme ad altre strie tanto che una "leggenda" parla di un processo ad una di esse che condannata al rogo viene salvata proprio dalle sue sorelle, e ancora oggi è presente un colle granitico che ne conserva il nome (sa punta de s'istria, vicino a Buddusò).

Grazie Shardana

La battaglia di Grillo come la nostra è contro tutti i nazi-fascismi.

Vday

Il 25 aprile in tutt' Italia sarà ricordato il 62° anniversario della Liberazione del nostro Paese dagli occupanti nazisti e dal governo fascista di Mussolini. Una pagina importante della storia italiana, che fu scritta anche grazie agli italiani (i partigiani, i militari, gli internati, i deportati), fu chiuso il periodo buio della dittatura e fu aperta la strada alla libertà, alla nascita della Repubblica e alla nuova Costituzione.
"Il 25 aprile si terrà il V2 Day sulla libera informazione in un libero Stato. Il cittadino informato può decidere, il cittadino disinformato "crede" di decidere. Disinformare è il miglior modo per dare ordini. Si raccoglieranno le firme per tre referendum: l'abolizione dell'ordine dei giornalisti, presente solo in Italia, la cancellazione dei contributi pubblici all'editoria, che la rende dipendente dalla politica, e l'eliminazione del Testo Unico Gasparri sulla radiotelevisione, per un'informazione libera dal duopolio partiti-Mediaset." Io aggiungerei anche l’eliminazione del canone Rai.
Qualcuno stigmatizza la scelta di Beppe Grillo del 25 aprile come data del V-Day, mettendo in dubbio che Grillo abbia delle idee politiche. Questo mi sembra un po' surreale, ma altrettanto curioso appare contemporaneamente accettare il significato del 25 aprile come data di liberazione dal nazi-fascismo e da tutto ciò che il nazi-nazi-fascismo di negativo rappresenta e non condividere, almeno in parte, gli ideali di Grillo. Forse qualcuno non se ne è accorto, o forse fa finta di niente, ma la battaglia del comico genovese e di chi lo sostiene è contro ogni forma di nazi-fascismo che esiste ancora nella nostra società, latente e strisciante, camuffata ma neanche poi tanto, il nazi-fascismo di una parte dell'informazione, omertosa, distorta e bugiarda, il nazi-fascismo di una casta che si pone al di sopra della legge e quando non può la piega alle sue necessità ed ai suoi scopi, il nazi-fascismo di una casta che tra corruzione e tolleranza dell'evasione fiscale ci ha divorato 8 punti percentuali di Pil, il nazi-fascismo di chi protegge i suoi privilegi del lusso mentre molte famiglie non hanno di che vivere, il nazi-fascismo di chi distrugge l'ambiente ed attenta alla salute dei cittadini, il nazi-fascismo di chi sfrutta gli altri per uno stipendio da fame e lo manda a lavorare all'inferno, il nazi-fascismo di un mercato che nel nome di malinteso liberismo permette l'esistenza di cartelli nelle assicurazioni, nelle compagnie telefoniche, in quelle petrolifere, il nazi-fascismo del G8. Vorrei infine chiedere quale sia il livello di affezione della maggioranza che sta andando al governo verso la ricorrenza del 25 aprile, visto che uno dei suoi esponenti ha dichiarato di volere cancellare la Resistenza dai libri di storia, e che in generale i suoi rappresentanti siano animati da uno sfrenato revisionismo, anche se magari nel giorno della Liberazione si faranno fotografare assorti all'altare della Patria. Beh venga il V-Day il 25 aprile, in quanto perfettamente a tema.

domenica 20 aprile 2008

La donna barbaricina: Sa meri de ‘omu

Madre, sorella, figlia e moglie. Colonna portante di una società che non permette intromissioni. Depositaria di segreti inconfessabili e guida silenziosa d’importantissimi avvenimenti. Si pensa a quella barbaricina come a una società di tipo matriarcale, vero solo in parte. Ma nella comunità barbaricina la figura della donna riveste una particolare importanza, tipica delle società in cui le attività produttive richiedono lunghe assenze degli uomini e la preminenza della figura maschile è quasi annullata dall’assenza prolungata da casa, soprattutto del pastore, e dalla specializzazione esclusiva acquisita dalla donna nell’andamento di tutto ciò che ruota intorno alla casa e alla famiglia. L’unica persona di cui l’uomo si fida durante le sue assenze è la moglie, Sa meri de ‘omu (la padrona di casa), che acquista così prestigio e potere. L’assenza del marito a seguire le greggi lascia alla donna maggiori spazi non solo all’interno della casa, ma anche all’esterno, poiché le attività domestiche in un’economia agro-pastorale impongono un continuo rapporto con l’esterno: il bosco per raccogliere la legna, la campagna per la lavorazione e la raccolta dei prodotti agricoli, la fonte per l’approvvigionamento dell’acqua, il fiume per lavare i panni. In questi lavori la donna non ha accanto il marito, sono altre donne che l’aiutano, le parenti e le vicine con cui intesse rapporti di scambio e solidarietà e nel contempo intrattiene conversazione. Gli unici momenti di svago, in una esistenza in cui il tempo libero non esiste poiché il suo tempo è totalmente assorbito dalle fatiche domestiche e dalla cura dei figli, sono le relazioni sociali a cui può dedicarsi nei momenti di aiuto reciproco, durante la panificazione, nel tragitto per andare in chiesa, al lavatoio, in una visita alla vicina. Se è innegabile il ruolo fondamentale della donna in tutti i momenti importanti della famiglia e della società, è anche vero che la donna barbaricina ragiona con logiche «maschili». Neppure lei, però, sa se questa è una scelta. Le motivazioni si sono perse nella notte dei tempi. La simbiosi tra i due sessi è perfetta, unica la cultura che ne cementa i rapporti. Madre, sorella, figlia e moglie. In Barbagia non esiste la «single». Se una donna adulta non ha un compagno resta per sempre figlia, rassegnata compagna al tramonto materno, e sorella di uomini. Eppure, con gli uomini ha un singolare rapporto alla pari. La particolarità sta nel fatto che, pur centrale nella famiglia e nel clan, anche nel 1990 la donna viene considerata apparentemente marginale nelle tragedie familiari e collettive. La Barbagia del 2000 è diversa da quella chiusa e fiera descritta dal grande scrittore e giurista nuorese, ma la donna moderna rispetta ancora regole antiche. La commedia della vita, dove tutti sono comprimari e nessuno protagonista, impone agli uomini questo atteggiamento che non è protezione né anacronistica cavalleria. Le donne barbaricine sono austere, non perché devono obbedire ad un’autorità esterna né a precetti religiosi, ma perché la loro dignità e la loro sicurezza sono legate all’osservanza di regole e riti codificati da tempi immemorabili, a valori che la donna barbaricina si è costruita da sé ed ha elaborato nella sua faticosa esistenza, nelle difficili condizioni di vita dove sono maturate dignità e coraggio, ingegnosità e fantasia nella trasformazione e produzione dei beni, grande capacità di lavoro.
La sua immagine sociale, il suo onore, dipendono dalla sua abilità nel provvedere alla casa, allevare i figli, saper amministrare, sempre con estrema parsimonia, ciò che il marito porta a casa. Per essere “una bona meri de ‘omu, la donna deve far fronte ad ogni evenienza: saper sbrigare le faccende burocratiche, “bettai dus puntus”, cioè rammendare, ingegnarsi nell’utilizzare ogni risorsa, anzi ogni residuo, rifuggendo da ogni spreco o rifiuto, deve possedere particolare abilità nella produzione di oggetti pregevoli anche esteticamente: la grande specializzazione nella confezione del pane non è appannaggio di poche specialiste di mestiere, ma di tutte le brave casalinghe. All’interno della famiglia emerge la funzione della moglie e madre, custode degli affetti domestici, esperta delle relazioni sociali e dei rapporti di vicinato e di solidarietà in occasioni di necessità, come i grandi lavori agricoli, il raccolto, i grandi eventi della vita come la nascita, le nozze, la morte.
L’importanza del ruolo della donna sarda nell’unità familiare, non subordinato a quello dell’uomo, è testimoniata dal fatto che la donna porta con sé il suo contributo nel formare una nuova famiglia, a lei spetta l’arredo domestico e il corredo, per controbilanciare il fatto che lo sposo pensa alla costruzione della casa, inoltre continua a usare il suo cognome di nascita e non quello del marito e i suoi beni restano suoi e passano in eredità ai figli senza distinzione tra maschi e femmine. È tipico che prima di prendere una importante decisione, stringere un contratto o decidere di un acquisto o di una vendita, l’uomo dica: “Depu pregontai a sa meri”, “Devo chiedere a mia moglie”. La donna come dispensatrice di vita e di morte, colei che fa nascere, che aiuta a morire con dignità (s’accabadora), che sorveglia la salute e i mali con la sapienza nell’uso delle erbe medicinali, che amministra e conserva i beni con grande saggezza, perché il matrimonio deve accrescere il patrimonio familiare, quello materiale che non deve essere dissipato, quello morale fondato su valori e principi che devono essere trasmessi avendo cura di mantenerli integri.
Una commedia appunto, dove tutti devono recitare una parte, con la massima convinzione, per non turbare delicatissimi equilibri. Eppure la Barbagia sta cambiando. Gli schemi, apparentemente immutabili, vengono lentamente aggrediti da una linfa nuova. In questa comunità che si rinnova, progressivamente e irreversibilmente, anche la donna moderna si guarda intorno. Le giovani non se la sentono di raccogliere la gravosa eredità delle loro madri. Pochi, «rassicuranti» insegnamenti le tengono ancora relegate nella nicchia della tradizione. Intorno, però, una silenziosa volontà di cambiare diventa un vento che solleva e porta lontano la polvere di una cultura secolare. Le cui radici, tuttavia, sono ancora forti. Primo, non mostrare, non portare all' esterno sentimenti e intenzioni che devono essere preventivamente filtrate. E comunque mai pubblicizzate. Solo il rito collettivo del funerale, e solo in alcuni paesi del Nuorese, consente alla donna di dare sfogo in pubblico alle proprie emozioni. Di mostrare alla gente intervenuta a portare solidarietà, ma spesso anche a fare atto di presenza, i problemi della famiglia. Anche nello strazio, comunque, vedove, madri e sorelle non aprono tutti i cassetti dell'anima.
La Barbagia è un arcipelago di differenze. La composta eleganza delle donne bittesi non assomiglia per niente alla gelida alterigia delle mamoiadine. O alla tumultuosa animosità delle orunesi. Un grande spettacolo collettivo di rancori cristallizzati. Madre, sorella, figlia e moglie. In questo rigido concatenarsi di rapporti, la metà del cielo per un uomo è prima di tutto la madre. È lei che prepara il futuro. Solo lei può incanalare la personalità di un figlio, frenarne le intemperanze e limarne le asperità. O soffiare sul fuoco dell'odio e dell' inesperienza fino a fare di un giovane uomo uno strumento di vendetta. Quanto contano le sorelle nella vita familiare? In Barbagia tanto.
Nessuno si stupisce se, al funerale, una sorella domina la scena luttuosa più della vedova. Se è vero che la morte violenta colpisce una moglie negli affetti, l'omicidio è diretto alla famiglia originaria del morto. I legami di sangue sono più forti di quelli di amore. Quindi una sorella, che conosce meglio della vedova i retroscena del delitto, è doppiamente colpita. Nella famiglia e nell'onore. In questa Barbagia che cambia un ruolo fondamentale spetta alle fìglie. A loro, alle giovani che si sforzano di affermare la propria personalità senza sfondare gli steccati che la comunità ha costruito per non morire, il compito di amalgamare il vecchio col nuovo. E le giovani, studentesse, professioniste, migliaia di disoccupate alla disperata ricerca di una sistemazione, stanno lavorando per conervare ciò che di buono offre questa terra, la «Grande Madre».
I mille problemi della società del malessere non intaccano l'amore per la propria terra. Tornando dopo tanto tempo, raccontano i nuoresi, un' irripetibile sensazione di benessere colma il vuoto dell'assenza. L'assenza di luoghi che allontanano ma non respingono, del profumo di casa. Fino a quando ci sarà la grande madre che tiene ancorati i propri figli, la Barbagia continuerà a vivere.

sabato 19 aprile 2008

Sardegna-Nord-Est

Per chi ama il mare della Sardegna e, in particolare la costa nord-orientale, la tappa è d’obbligo a Orvili (Posada, provincia di Nuoro), la splendida spiaggia del litorale di Posada la spiaggia, lunga parecchi chilometri, è caratterizzata da sabbia chiara a grana grossa, che fa da preludio alla Costa degli Oleandri e si presenta con un fondo di sabbia chiara abbastanza grossolana. Le sue acque sono trasparenti e di un azzurro cangiante per i giochi di luce creati dal sole riflesso sul fondale: un ulteriore cromatismo è offerto dal verde della vegetazione che orla le dune alle spalle della spiaggia.
La spiaggia di Orvili, nell’alta Baronia, non è difficile da raggiungere. La via d’accesso ideale è la SS 125 verso Siniscola; si svolta dopo la casa cantoniera di Orvili in una strada non asfaltata, che passando accanto al fiume di Posada, che conduce alla spiaggia incoronata da una folta pineta e da piccole dune di sabbia.
Uno scenario suggestivo arricchito dalla presenza dello stagno Longo, in cui sono presenti, alla foce del Rio Posada, colonie di gallinelle d'acqua, germani reali, cavalieri d'Italia, fenicotteri rosa e aironi, ideale terreno di caccia per appassionati birdwatching o amanti delle passeggiate immersi nella natura incontaminata.
La spiaggia offre alcuni servizi: è dotata di piccolo parcheggio, hotel, bar ed è caratterizzata da un fondale basso che rende agevole il gioco dei bambini in acqua. Essendo battuta dal vento, è anche meta ideale per i surfisti ed è amata da quanti praticano la pesca subacquea o semplicemente desiderano immergersi nelle sue acque, magari in compagnia di maschera e pinne per ammirarne i fondali ricchi di piacevoli sorprese.

Ma un tuffo nelle acque di Orvili è anche un pretesto per una tappa a Posada. Il centro, arroccato ai piedi di una rupe calcarea, è dominato dai resti ora restaurati del castello della Fava del XII secolo che domina l’abitato. Il castello fu residenza di vacanza della giudichessa Eleonora d'Arborea, tra il mare e le colline. Tra le secolari pinete ed il nuovo parco fluviale, questo paese e' stato il capoluogo della baronia di Posada, il piu' importante ed il piu' longevo dei feudi sardi e l'unico borgo medievale rivierasco della costa Tirrenica sarda. Il borgo storico costruito su un ripido sperone di roccia, dal quale si domina uno splendido panorama, conserva ancora oggi l’impianto medievale con strette viuzze, ripide scalinate, archi che uniscono alcune abitazioni e piccoli slarghi.

Sardegna

La Sardegna, ragione autonoma a statuto speciale è la terza regione italiana per superficie. Ha come capoluogo Cagliari e come province Nuoro, Oristano, Sassari. Le coste frastagliate, soprattutto al nord (Le baia di granito della Gallura nono quasi un' icona del mare sardo), verso sud, nella zona di Villassimius, si aprono in lunghe e ampie spiagge. Nonostante 1.800 km di coste, la Sardegna è un terra storicamente legata alla montagna: vanta rilievi ormai limati dal tempo ma di suggestiva bellezza, come quelli del massiccio granitico del Limbara a nord, dei Gennargentu nella zona centro orientale e i monti de! Sulcis - Iglesiente a sud. Le pianure più estese sono il Campidano alle spalle di Cagliari a Oristano e Sa Nurra, che si estende a nord-est di Alghero. In Sardegna, le superfici d'acqua degli stagni e dei laghi dipingono paesaggi molto suggestivi, dovuti anche alla straordinaria ricchezza dei loro ecosistemi. Molti degli stagni costieri sono classificati dalla Convenzione Internazionale di Ramsar siti naturali da proteggere. Nata geologicamente 600 milioni di anni fa e abitata fin dalla preistoria, la Sardegna è la terra più antica del territorio italiano. Dopo i Nuragici, che ricoprirono l'isola con le loro suggestive costruzioni (ancora oggi su tutto il territorio si contano ben 8.000 nuraghi!), e gli Shardana che regnarono incontrastati su tutto il Mediterraneo, la storia dell'isola ricorda un serie di lunghe dominazioni. Dagli aragonesi, agli spagnoli, fino ai piemontesi del Regno di Sardegna. Di questa serie di "invasioni", la Sardegna ha conservato traccia in molte tradizioni diverse tra loro. Nonostante ciò, questa è una terra che ha mantenuto una forte coscienza unitaria, un sostrato puramente sardo, tenacemente difeso come vessillo dell'identità di un popolo che ha anche una propria bandiera: un campo bianco con croce rossa e le teste di quattro mori, probabilmente i re saraceni sconfitti. Questa forte cultura regionale si manifesta nelle feste tradizionali, nella gastronomia, nell'artigianato, nella lingua, che pur con alcune differenze è un idioma comune per tutta l'isola. Il sardo, di origine latina, lingua con la quale spartisce ancora, quasi immutati, alcuni vocaboli, per i "continentali" è praticamente impossibile da capire, a parte i due vocaboli che sentirete pronunciare più spesso in un viaggio in Sardegna: Ajò, che significa letteralmente "andiamo", ma è quasi un intercalare, ed Eya che significa "sì". In ogni caso i sardi, pur tacciati di essere orgogliosi e testardi, raramente si ostineranno a parlarvi nella loro lingua. Anzi sull'isola vi sarà riservata un'accoglienza calda e genuina, soprattutto se programmate il vostro viaggio fuori stagione. Luglio e agosto infatti non sono i momenti migliori per sperimentare una tranquilla vacanza in Sardegna. In questi mesi, le zone più balistiche sono congestionate: spiagge affollatissime, alberghi, voli e navi sono prenotati da mesi, e su le strade della costa c'è un traffico intenso. Negli altri mesi dell'anno il panorama è alquanto diverso, isola registra una densità di popolazione tra le più basse in Italia (69 abitanti per km, mentre la Lombardia ne ha 376 e la Campania 426) e il turismo fuori stagione ancora non è molto sviluppato. Così, se viaggiate in Sardegna in primavera, oltre a godere dello splendida fioritura della macchia mediterranea, uno spettacolo indimenticabile, vi capiterà anche di percorrere strade desolate, o di arrivare in piccole baie dove regalarsi un tuffo in solitudine. A proposito di bagni, ricordate che la maggior parte delle spiagge non sono attrezzate e non hanno bagnini, quindi non arrischiati' un tuffo se le condizioni del mare non sono buone. Per gli sportivi le coste della Sardegna riservano emozioni uni-che. Chi ama il windsurf deve fare tappa a Porto Pollo, a ovest di Palau (SS), il tempio del vento; chi vuole scoprire fondali meravigliosi ha a disposizione una serie di immersioni impegnative), ma anche facendo snorkelling può ammirare una ricca fauna ittica. Infine, in un viaggio in Sardegna non mancate di leggere alcune delle "sue" pagine più belle: quelle di Canne al vento di Grazia Deledda o di Padre padrone di Cavino Ledda, del Giorno del giudizio di Salvatore Satta, de Il disertore di Giuseppe Dessi, di Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni. Senza dimenticare i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, uno dei più importanti intellettuali italiani, nato ad Ales, vicino a Oristano, nel 1891.

venerdì 18 aprile 2008


Un sogno spezzato dalla violenza e dalla miseria

Pippa Bacca, 33 anni, era partita lo scorso 8 marzo dal capoluogo lombardo in autostop verso Israele e la Palestina per portare un messaggio di pace e fratellanza. L'artista vestita da sposa, che viaggiava verso la Palestina, non è giunta alla fine del suo viaggio perché è stata assassinata in Turchia da Murat Karatas, 38 anni, il quale l’ha prima violentata e poi strangolata. Il sogno innocente di una ragazza occidentale si è scontrato contro la vera violenza che nasce dal degrado e dalla miseria del mondo: la buona volontà non basta e i gestì simbolici spesso sono gocce in un oceano. Talvolta noi occidentali ci scordiamo di appartenere a una minoranza fortunata e protetta: attorno a noi ci sono tante sofferenze, che spesso degenerano, degradano gli esseri umani, mutandoli in belve. Potrebbero definirsi ratti, perché l'ambiente e le baraccopoli delle periferie è spesso sporche, brutte, puzzolenti e inquinate, sono adatte a questi roditori, capaci di resistere a tutte le condizioni, senza dare un giudizio morale sulle vittime della povertà estrema, anzi cercando di capirle. La buona volontà e le utopie di molti giovani si dovranno scontrare con la brutalità di chi non è cattivo, ma è solo cresciuto nella cultura della sopravvivenza: chi è forte deve approfittarsi dei deboli. Le baraccopoli del Terzo Mondo sono l'esempio di ciò che sta diventando questo pianeta: un occidentale, nonostante tutti i suoi ideali, non può entrarvi, se non a rischio della vita. Amare la pace, lottare e provare interesse per i più miseri serve, ma non bisogna scordare che la natura umana spinge alla sopravvivenza sempre e in ogni caso. Pure i ratti hanno un loro ambiente naturale originale, ma sanno vivere bene nelle fogne: gli uomini si sanno pure loro adattare e non sono meno "brutti" dei roditori, quando perdono la dignità per le condizioni disumane delle loro esistenze. È vergognoso che ancora oggi nel terzo millennio proprio in quei paesi poveri, anzi, poverissimi gli uomini di potere si appropriano di tutte le ricchezze del paese lasciando il loro popolo alla fame, ed è vergognoso che altri uomini di potere come quelli occidentali, non prendano alcun provvedimento affinché le ricchezze siano equamente distribuite affinché le popolazioni possano vivere almeno decorosamente. Alcuni paesi buttano materie prime che invece sono vitali per chi muore lateralmente di fame , ma questo è il mondo qualcuno sussurra. Questo è il mondo che occorre cambiare, ma non possono farlo quelli come Pippa Bacca, perché da soli si muore.

giovedì 17 aprile 2008

L'eutanasia dei poveri

Le prime testimonianze scritte sull’uccisione rituale dei vecchi in area mediterranea risalgono all’antichità classica, in prevalenza intorno al III secolo a.C. questo rituale eutanasico, in ambito sardo era denominato “accabadura”. Dalla documentazione del mondo classico si rileva come gli ultra settantenni venissero messi a morte in onore di Saturno (Kronos), dio del tempo. Ai vecchi sarebbe stata fatta ingerire una particolare erba velenosa, autoctona della Sardegna, letale per gli uomini e dannosa per gli animali: l’erba sardonica, (oeneanthe crocata), in sardo appiu de riu che per sua stessa definizione cresce copiosa lungo i corsi d’acqua. Spesso condotti verso il loro ultimo destino dagli stessi figli, certo preda di sensi di colpa, i vecchi genitori venivano da essi costretti a masticare le foglie di questa pericolosa euforbiacea, il cui aspetto ricorda molto quello del sedano selvatico. Per la sua peculiare composizione biochimica, la pianta ingerita oppure solo strofinata sulle parti molli, esterne ed interne, del cavo orale, provoca una graduale trasfigurazione del volto, simile alle convulsioni generate dal tetano. I suoi effetti tossici determinano spasmi atroci e un’innaturale smorfia di dolore, cui segue fatalmente la morte. L’insieme del rituale veniva ad avere, così una manifestazione quasi iconica, che trovava nel ghigno innaturale della vittima il suo momento più alto, macabro e grottesco insieme. Questa ieratica fissità è la stessa della maschera del teatro greco, ove i confini fra commedia e tragedia restano sempre labilmente ambigui. Nel linguaggio metaforico, questo amaro e triste sorriso è definito “riso sardonico”, ed è appunto in tali termini che ne parla Omero, quando, nelle pagine dell’Odissea descrive l’espressione enigmatica del volto di Ulisse. In uno studio del 1879-80, Ettore Pais rintraccia la vera origine del risus sardonicus in un culto arcaico, diffuso nella Licia , e dedicato al dio Sardan. Tra il riso sardonico e l’accabadura, non esiste alcuna, non sussiste alcuna relazione consequenziale di causa – effetto, se legami si riscontrano tra i due fenomeni, essi sono di natura alquanto differente, sebbene li si trovi spesso connessi tra loro, pure in assenza di una origine comune ad entrambi. Tra le terre più remote, la Sardegna rappresentava l’”altrove” mitico, l’archetipo di un primordiale stato di natura, non ancora permeato da profondi afflati culturali: qui l’eliminazione fisica dei vecchi trovava la sua ragione di essere in un’economia di pura sopravvivenza, che riconosce come valide per sé solo le legittimazioni dettate da determinismi d’ordine materiale. Entro quest’universo economico conchiuso, improntato ai cogenti dettami di una struttura sociale rigida e poco evoluta, ove domina incontrastata la legge del più forte per natura, l’autosufficienza fisica dell’individuo è valore essenziale nella diuturna lotta per la sopravivenza per se stessi e per la comunità d’appartenenza. L’eutanasia si praticava in Sardegna fino a qualche decennio fa, soprattutto nella parte centro-settentrionale dell’isola. Gli ultimi episodi noti d’accabadura avvennero a Luras nel 1929 e ad Orgosolo nel 1952. Oltre i casi documentati, moltissimi sono quelli trasmessi oralmente alle memorie di famiglia. Molti ricordano un nonno o bisnonno che in ogni modo ha avuto a che fare con la signora vestita di nero, chiamata dai familiari del malato terminale, lo uccideva ponendo fine alle sue sofferenze. Un atto pietoso nei confronti del moribondo ma anche un atto necessario alla sopravvivenza dei parenti, soprattutto per le classi sociali meno abbienti: negli stazzi della Gallura e nei piccoli paesi lontani da un medico molti giorni di cavallo, serviva ad evitare lunghe e atroci sofferenze al malato. Sa femmina accabadora arrivava nella casa del moribondo sempre di notte e, dopo aver fatto uscire i familiari che l’avevano chiamata, entrava nella stanza della morte: la porta si apriva e il moribondo, dal suo letto d’agonia, vedeva entrare sa femmina accabadora vestita di nero, una delle gonne sollevata a coprirle il viso, e capiva che la sua sofferenza stava per finire. La figura di questa donna, che procurava quella che comunemente era chiamata la “dolce morte”. Una morte in anticipo per persone in agonia da lungo tempo, è espressione di un fenomeno socio-culturale e storico e la pratica dell’eutanasia “ante litteram” nei piccoli paesi rurali della Sardegna è legata al rapporto che i sardi avevano con la morte. Nella cultura della comunità sarda, non è mai esistita una vera paura di fronte agli ultimi istanti della vita dell’uomo. Si può anzi dire che i sardi avessero una propria e personale gestione della morte. Sorprende, però alla stessa pratica dell’eutanasia, il fatto che mai né la chiesa né lo Stato, pur sapendo dell’esistenza di questo particolare personaggio, abbia preso provvedimenti nei suoi confronti. In pratica era un’accettazione tacita dello stato delle cose, un personaggio a cui tutti prima o poi potevano far ricorso in caso di necessità. Eutanasia è un termine che incute tristezza e rispetto, su cui si sente spesso discutere, che in qualche parte del mondo è permessa, in molte altre decisamente proibita e rifiutata. In Italia, per esempio, non è consentito, per nessun motivo “staccare la spina” e anticipare la morte, neanche quando l'eutanasia è invocata e chiesta dal malato perché solo questa porrebbe fine a sofferenze atroci ed inumane. Ai tempi de s’accabadora, invece, l’Eutanasia sembra sia stata praticata, nella maggior parte dei casi, il malato si sopprimeva con un cuscino, in altri casi si usava uno strumento “sa mazzola” una sorta di bastone appositamente costruito e visibile presso il museo gallurese. Sta di fatto che sa femmina “accabadora” è andata in pensione non corre più nella notte ai capezzali dei moribondi…ed il suo strumento è finito in un Museo.

Caro Cavalier Berlusconi

Gli italiani l’ hanno votata, anche se la maggioranza nega spudoratamente di averlo fatto. Sarebbe altrimenti incomprensibile la portata della vittoria elettorale del Popolo della libertà. Gli italiani si sono dimostrati ancora una volta un popolo che ama la libertà in tutte le sue sfaccettature e ha capito che per riprendersi da due anni di governo infausto serviva una sterzata, un segnale ben preciso verso due formazioni che non hanno dubbi su che cosa fare per far ripartire l'Italia.

Di certo non ci si poteva fidare dell'estrema sinistra, compagine variegata che nel governo Prodi ne ha combinato di tutti i colori, a partire dallo slogan "compagine di lotta e di governo" come dire bianco e nero, e poi diciamolo come ci si poteva fidare di elementi di spicco che sfilavano in manifestazioni dietro a striscioni che dicevano «dieci, cento, mille Nassiriya», come si poteva votare un partito che aveva imbarcato un elemento di rottura come Caruso che altro non era che un capopopolo pronto a capeggiare sfasciatori di vetrine ed incendiari di auto nonché ad aizzare i manifestanti contro le forze dell'ordine.

Il suo lavoro non sarà facile perché non potrà fare come al primo incarico, ora gli italiani voglio fatti non parole, vogliono che le promesse siano mantenute, non si aspettano miracoli ma vogliono poter arrivare a fine mese senza più stringere la cintura. Gli italiani dicono basta ai venditori di fumo che promettendo mare e monti. Gli italiani vogliono che l’Italia riparta economicamente, che diminuisca la pressione fiscale, che le tasse le paghino tutti, non solo i lavoratori dipendenti e i pensionati, ma anche i professionisti e i commercianti. Vogliono che i carburanti non siano i più salati d’Europa, vogliono che i salari non siano i più bassi d’Europa. Si aspettano che sia tolta l’ICI, la detassazione degli straordinari e riavere in tasca le risorse sottratte dal governo Prodi, tante famiglie, tanti lavoratori e anziani hanno davvero il problema di arrivare alla fine del mese. Gli italiani vogliono che siano definitivamente risolti i problemi sulla sicurezza, sulla giustizia lenta ed effimera e sulla certezza della pena. Gli italiani vogliono nuove leggi che salvaguardino la sicurezza delle donne e dei minori. Vogliono riforme che gli permettano di partecipare politicamente alla crescita del paese scegliendo gli uomini che lo rappresentino, quindi via la legge elettorale “porcellum”. Gli italiani, inoltre, vogliono essere governati da uomini che non disprezzino, l’inno e la bandiera e non ricattino in continuazione con il richiamo alle armi di una parte di italiani, non vogliamo guerre civili, una è stata più che sufficiente. Gli italiani non vogliono un’Italia di serie A e una di serie B. Si aspettano insomma che l’Italia unita che risalga la china e non sia più considerata il fanalino di coda dell’Europa.

Lei vuole passare alla storia, e questo ci fa piacere, ma ci sono due modi per passare alla storia il primo, il più auspicabile come lo statista che ha risollevato e dato lustro all’Italia e il secondo… come lo statista più coglione che l’Italia abbia avuto. Sta a lei e ai suoi ministri far si che si realizzi il primo e che il suo nome sia scritto in caratteri cubitali nella storia del nostro paese, la scelta è solo sua e ha 5 anni di tempo.

mercoledì 16 aprile 2008

Regata storica dei fassonis

La caratteristica regata de is fassonis che si svolge nello stagno di Santa Giusta sembra affondare le sue radici in un lontano passato, sebbene sia stata riproposta solo negli anni ottanta. La regata de Is Fassonis che si svolge nello stagno di Santa Giusta ha grande fascino per l'aspetto evocativo di ritualità, tradizioni e di vita vissuta da parte di uomini che, con i pochi mezzi a disposizione, sfidavano gli elementi per poter sostenere se stessi e le proprie famiglie.
Is fassonis sono antichissime imbarcazioni di origine preistorica realizzate intrecciando un tipo di giunco acquatico, (“su feu” è una pianta che rischia l'estinzione), che cresce negli stagni dell’oristanese, che vengono impiegate dai pescatori della regione di Arborea e da quelli di Cabras, nella Penisola del Sinis: hanno una prua dalla punta molto pronunciata e la poppa mozzata, ma sono particolarmente adatte per navigare nelle acque basse e ricche di piante acquatiche. Is fassonis si guidano con una pertica da parte del barcaiolo ritto in piedi, anche nell'azione di pescare ed è utilizzato dai pescatori degli stagni dell’oristanese per svolgere le loro attività di pesca e spostarsi da una sponda all’altra. Esse sono molto simili peraltro alle "balse" peruviane altrettanto singolari imbarcazioni usate dagli indigeni che abitano sulle rive del lago Titicaca nell’America meridionale, e si possono altresì rapportare con altre antiche imbarcazioni, quali quelle egiziane di papiro, i battelli di Dicoa nel Golfo Persico ed altre ancora nei più grandi musei internazionali, tra cui quello sulle vecchie imbarcazioni presente in Danimarca.

La regata trae probabilmente le sue origini dall’antico rito della “perdonanza” che s’iniziò a celebrare nel 1170. Nel 1100 fu istituita la diocesi di Santa Giusta e nella basilica s’insediò la sede vescovile. Nello stesso periodo un’iniziativa della chiesa di Roma stabilì il perdono dei peccati per tutti coloro che si sarebbero confessati, comunicati e recati in pellegrinaggio alla basilica il lunedì di pasqua. Il pellegrinaggio, che era anche motivo per festeggiare adeguatamente la pasquetta, era affrontato dalla gente con ogni mezzo di trasporto, ma i pescatori si recavano alla basilica con i mezzi a loro più congeniali, economici e veloci, le barche di giunco: is fassonis. Più avanti fu inoltre organizzata, da frate Antonio da Nuraxinigheddu, la "perdonanza dei pescatori", che mirava a riportare sulla retta via un’intera categoria di uomini, considerati allora dei poco di buono. Questa dunque l’origine della tradizionale regata de is fassonis. Oltre all'avvincente competizione che richiama migliaia di spettatori ogni anno, assai gradevoli sono anche le manifestazioni di contorno, di carattere folcloristico ed enogastronomico. In particolar modo, è possibile degustare i genuini prodotti della zona degli stagni, come le anguille ed in genere pesci alla griglia o la corposa vernaccia locale.

Sono pochissimi ormai gli artigiani che custodiscono la tradizione della costruzione dei "fassonis", ma si sta cercando di tramandarla ai giovani con interventi mirati da parte delle istituzioni locali. La magia della regata di agosto e l'entusiasmo della gente che si raduna attorno allo stagno di Santa Giusta, confermano l'importanza di non disperdere questo patrimonio culturale.

lunedì 14 aprile 2008

Notizia choc dall'ultra islamico Yemen.

Nojoud, una bambina di otto anni si ribella al marito e al padre che l’aveva obbligata a sposarsi con il trentenne Faez Ali Thamer. Nojoud, stanca degli abusi e delle violenze è andata in tribunale per chiedere il divorzio dal marito che avrebbe dovuto lasciarla in pace almeno fino a maturazione sessuale avvenuta. Invece no. Nojoud è stata ceduta a questo modello di consorte dal padre, che l’ha costretta con la violenza a contrarre matrimonio. La Bambina ha raccontato al giudice Muhammed al-Qadhi la sua vita di abusi: Due mesi fa il padre l’aveva data in sposa “Mio padre mi ha picchiato e mi ha detto che dovevo sposare quest’uomo. Lui mi ha fatto brutte cose, io non avevo idea di cosa fosse il matrimonio. Correvo da una stanza all’altra per sfuggirgli, ma alla fine mi prendeva, mi picchiava e poi continuava a fare ciò che voleva. Ho pianto così tanto, ma nessuno mi ascoltava. Ho supplicato mia madre, mio padre, e mia zia di aiutarmi a divorziare”. Nessuno l’ha aiutata. La piccola, perché è di questo che si tratta, lascia a bocca aperta il mondo intero. Il giudice ha ordinato l'arresto del padre e del marito della bambina. Per ora il processo non è ancora stato istruito, perché Nojoud è arrivata in tribunale da sola, di sua iniziativa, ed è ora seguita da uno zio che si è incaricato, con un pò di ritardo, di farle da tutore. Per Nojoud la guerra per la sua libertà non è ancora finita. Il padre è già stato rilasciato e la possibilità di divorzio si preannuncia tutt’altro che facile, lo sposo per ora non intende divorziare: «Sì, sono stato in intimità con lei — ha detto—ma non ho fatto nulla di male. È mia moglie e ne ho il diritto. Nessuno può fermarmi».

Ma ciò che conta è questo inaspettato gesto di ribellione, a conferma che sperare nel cambiamento non è sogno né utopia. Nojoud ha dimostrato che è possibile. Nojoud non lo sa, ma con la sua innocenza, ha alimentato la speranza in milioni di donne. Una nuova eroina. Forse era questo ciò di cui si aveva bisogno. Lo Yemen è tristemente conosciuto per il suo radicalismo musulmano. Qui le “spose-bambine” sono più del 50%, per quanto la legge fissi l’età per contrarre matrimonio a 15 anni.

Il premio per la politica...

Non ci sono dubbi i veri vincenti della speciale classifica di sgradimento e sgradevolezza nel sono stati e sono i politici. A loro viene assegnato “il mongolino d’oro”, e diciamolo chiaro questi nostri eroi ce l'hanno messa tutta ed hanno fatto a gara per meritarselo, quel trofeo, e le scene che li riguardano resteranno indelebili nella memoria di tutti gli italiani.
Ricordo la faccia di Cesa, il segretario dell'Udc, quando, dopo l'ennesimo scaldalo di droga e prostituzione in cui fu coinvolto un suo collega di partito, propose, urbis et orbis, un ulteriore indennizzo per i parlamentari, a che potessero portarsi a Roma anche la famiglia per evitare certe tentazioni? Da sganasciarsi dalle risate: se non fosse stato per quella voglia, davvero grande, di prenderlo a schiaffi. Ma se la destra piange, la sinistra non ride e registra il massimo grado di ripiegamento retorico e liturgico su se stessa, come altro definire i desiderio macabro di Diliberto di portare a Roma la mummia di Lenin nel caso il Cremlino decidesse di rimuoverla. Se questi sono gli alfieri progressisti della nostra politica, il futuro che ci si delinea non potrà essere diverso da quello degli zombie. Per non parlare poi delle tante baggianate proferite da Clemente Mastella.
Ma questi politici ci fanno o ci sono? Ho sempre pensato che questi politici, purtroppo, ci sono. Anche se dopo aver letto su Grazia del 6 dicembre un'intervista a Calderoli, l'uomo della t-shirt anti-islamica, forse mi devo ricredere: «Non mi piaccio», rivela Calderoli, «ma qualcuno il lavoro sporco lo deve fare». Lo abbiamo visto a Lodi col maiale al guinzaglio per sconsacrare un terreno destinato a una moschea. Lo abbiamo sentito concludere un intervento in parlamento dicendo: "Visto che dalle nostre parti ne è piena l'aria, potremo organizzare il maiale-day, ossia concorsi e mostre per i maiali da passeggiata più belli". Da tenersi ovviamente nei luoghi in cui gli islamici vorrebbero costruire i propri edifici di culto, in realtà "centri di raccolta per cellule terroristiche". E lo abbiamo sentito: quando chiama i gay «culattoni». Diede della «donna molto abbronzata»,alla giornalista palestinese - e bellissima - Rula Jebreal. Ed è sempre a suo agio con i soliti slogan: «Basta con i bingo-bongo padroni dell'Italia». Adesso dice no: e confessa di vergognarsi di fare il Calderoli. In nome, bisogna aggiungerlo, di una sua convinta filosofia: «La politica è teatro, quando si alza il sipario io faccio la mia parte». Come dobbiamo prenderle queste dichiarazioni? Io sono convinto che il Paese legale - i politici che lo incarnano - sia molto migliore di quello reale. Ecco perché, da un certo punto in poi, quei politici - di cui Calderoli è l'avanguardia cosciente - sono stati costretti, per sopravvivere, a cambiare e a far finta di essere persone serie e oggi dicono il contrario di ieri e di domani. Calderoli resta tra la gente, beato e trionfante, umanissimo nella sua ignara disumanità: «Penso sempre alla morte. Sembrerà stupido, ma ho paura di morire prima di aver pagato tutto il mutuo».

Ma nonostante tutto ciò e nonostante il “porcellum”, io non rinuncio al mio diritto di voto, che è poi anche un dovere se voglio essere un cittadino civile e responsabile. Già con questa legge elettorale ci hanno tolto la possibilità di scegliere i candidati, se si va avanti così, con questi assaltatori di diligenze, ci toglieranno anche la possibilità di votare. Io ho sempre votato, compresi i referendum. Ho votato anche per le elezioni provinciali e regionali, pur considerandole un inutile spreco. Ho sempre votato perché non accetto un governo eletto da furbi e stupidi. E spero che il partito che vincerà queste elezioni sia in grado di eliminare i privilegi, le storture, le ingiustizie e di ridare un minimo di credibilità al nostro Paese.