La maternità era un evento molto privato e la donna solitamente lo teneva nascosto almeno per i primi mesi e rendeva partecipi dell'evento solo i familiari più stretti. All’epoca non esisteva l'ecografia quindi per conoscere il sesso del bambino, si ricorreva quindi a quelli degli avi. Il più comune deduceva il sesso del nascituro dalla forma della pancia della mamma: la pancia larga sui fianchi indicava che sarebbe nata una femmina, a punta un maschio.
Durante la gravidanza la donna, se desiderava in modo intenso qualcosa da mangiare, evitava di toccarsi sul corpo perché si credeva che se lo avesse fatto il bambino sarebbe nato cun su disigiu , ossia con la voglia dei cibi desiderati sulla pelle. Per la salute e per la vita della puerpera e del bambino era necessario chi su pipiu ndi pighessidi totus is lunasa , che il bambino prendesse tutte le lune, cioè che il periodo della gravidanza ricoprisse nove cicli lunari. Si credeva, infatti, che se il bambino fosse nato dopo solo otto mesi di gravidanza no si bieda sa mamma cun su fillu , ossia la madre e il figlio non avrebbero avuto la possibilità di conoscersi, in quanto l'uno, l'altra o entrambi sarebbero morti prima o durante il parto.
Per scaramanzia la mamma preparava is spoglieddasa , il corredino, solo al termine della gravidanza: sa camisedda, sa bambinedda, su cambusciu, is pannitzusu, su giponeddu, d'estate di millerighe e d'inverno di mollettone (la camicina, il vestitino, la cuffietta, i panni, la giacchina). I bambini erano fasciati con panni triangolari tenuti fermi con le spille da balia e, inoltre, avvolti dalla vita in giù con delle fasce che in teoria avrebbero dovuto rinforzarne le ossa e impedire che gli venissero le gambe storte. In realtà evita semplicemente il piegamento della spina dorsale. Il parto avveniva in casa. La donna era assistita dalla madre, dalla suocera e da sa maista ‘e partu , una donna, in genere, anziana che aveva acquisito con l'esperienza le tecniche per aiutare le partorienti. In seguito, non in tutti i paesi, si ricorse all’assistenza de sa levadora, la levatrice che era un'impiegata comunale, assunta tramite concorso che aveva il dovere, secondo l'uso locale: assistere la partoriente dall'inizio alla fine del parto; lavare e vestire il bambino per i primi otto giorni, presentarlo al battesimo, lavare la prima camicia della puerpera e accompagnarla in chiesa po s'incresiai, per ricevere la benedizione dal prete. Si ricorreva comunque al medico solo in casi estremi.
Ricordo perfettamente, avendo altri sette fratelli, che la sera della nascita i figli erano inviati presso un parente o di una famiglia amica, affinché la casa fosse completamente a disposizione per il dolce evento. Altre volte i bambini venivano inviati tutti in una stanza con il divieto assoluto di uscire. E si restava in attesa, per lunghe ore per sentire il primo vagito, poi tutti in camera per salutare e accarezzare l'ultimo arrivato. Dal giorno successivo cominciavano i preparativi per il battesimo. Il rito era celebrato generalmente all'ottavo giorno dalla nascita, pena i rimproveri degli anziani preoccupati del fatto che il bambino potesse morire senza questo sacramento. Al battesimo partecipavano, in genere, il padre e i padrini.
Questi ultimi erano scelti con cura perché si credeva che su filloru ndi pighessiri i donusu, cioè che il figlioccio ne ereditasse le qualità morali. Il padre del bambino si recava appositamente a casa dei prescelti per chiedere loro sa caridadi de du fai cristianu , la carità di farlo cristiano. Raramente tale richiesta era disattesa. Chi lo faceva era malvisto dalla comunità perché rifiutava di fare, appunto, un'opera di carità. Un legame speciale, su santuanni , spesso più forte di quello con i parenti, si instaurava tra i genitori e i padrini che, da quel momento, si davano reciprocamente del voi e si chiamavano con i nomi di gopai e gomai , compare e comare. Dopo il battesimo, era consuetudine offrire su cumbidu. I padrini regalavano ai figliocci la catenina d'oro, oppure is pramixeddasa , gli orecchini piccoli e appuntiti con cui si faceva il buco alle orecchie, e s'aneddu de oru , l'anello d'oro, quest'ultimo soprattutto ai maschietti.
Seminario Inka
13 anni fa
1 commento:
Sembra una favola di altri tempi
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