La Festa della Repubblica è la festa nazionale italiana che ricorre il 2 giugno, oggi dobbiamo ricordiamoci quindi della nostra costituzione, ed in particolare dell’ art. 3, che afferma: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di reli-gione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli o-stacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, im-pediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Memorizzato e fatto nostro quest’ articolo della costituzione dovremmo essere a metà strada, non ci resta che metterlo in pratica ricordando che il nazismo che si basava sull'idea di superiorità della razza ariana, che oggi ripugna alla quasi totalità delle persone ed è considerato un obbrobrio ideologico non più ripetibile non è totalmente scomparso. Noi italiani ci proclamiamo non razzisti, ma esiste ancora l’ annosa contrapposizione fra Nord e Sud, anche se lo sviluppo industriale del Paese ha finito col meta-bolizzare le insofferenze razziste. Ma vai a raccontarlo a Bossi e ai suoi amici della Lega, che moltissimi operai e intellettuali meridionali hanno contribuito alla crescita economica della nazione.
Non dobbiamo quindi abbassare la guardia, perché la cronaca ci riferisce, con cadenza presso che quotidiana, di episodi di discriminazione avvenuti sulla base del colore della pelle o del luogo di provenienza. Si tratta, per lo più, di microepisodi di intolleranza o di xenofobia. La nostra è una società aperta, una democrazia matura, che, pur tenendo conto di mille disfunzioni e ri-tardi, considera la tolleranza verso chi è diverso uno dei valori fondamentali. Gli italiani hanno capito che quello che conta sono gli individui, la loro voglia di fare e di inserirsi, la loro umanità, il contributo che ognuno è in grado di portare allo sviluppo e al progresso della società. Il colore della pelle, l'area geografica di provenienza, la religione professata, le idee politiche non possono essere motivo di discriminazione. Ma avvertono anche l'esigenza di sapere il livello di tolleranza delle altre culture. Su questo non si può transigere. Chi proviene da fuori deve accettare le nostre leggi, le nostre regole del gioco, i valori democratici su cui si fonda la nostra Costituzione. Non possiamo essere tolleranti con gli intolleranti. Oppure sostenere un deleterio razzismo alla rovescia sostenendo la superiorità morale di coloro che sono storicamente oppressi. Per questo per prima cosa occorre far rispettare le leggi a tutti, senza distinzioni. La legge deve essere, però, uguale per tutti, perché il crimine non ha colore e non appartiene a un gruppo etnico. E non bisogna far passare l'idea che le colpe individuali cadano su una collettività o su un gruppo etnico, perché è un messaggio devastante. I politici devono fare la loro parte. Soprattutto quei partiti che hanno fomentato e fomentano questo odio con delle dichiarazioni molto forti. C'è un'ostilità verso tutto quello che è diverso: dal calabrese, al siciliano, al sardo, al rom, al maghrebino, mettendo tutti sullo stesso piano. Tutti quanti dovrebbero fare un passo indietro, riflettere prima di parlare prima di incitare, sapendo che ci sono persone deboli, prive di personalità e che fanno alla lettera quello che gli altri dicono, che sia giusto o sbagliato. E qualsiasi tipo di risposta si dà, dal punto di vista giuridico o istituzionale, sia per un solo scopo: quello di combattere il crimine.
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