domenica 20 aprile 2008

La donna barbaricina: Sa meri de ‘omu

Madre, sorella, figlia e moglie. Colonna portante di una società che non permette intromissioni. Depositaria di segreti inconfessabili e guida silenziosa d’importantissimi avvenimenti. Si pensa a quella barbaricina come a una società di tipo matriarcale, vero solo in parte. Ma nella comunità barbaricina la figura della donna riveste una particolare importanza, tipica delle società in cui le attività produttive richiedono lunghe assenze degli uomini e la preminenza della figura maschile è quasi annullata dall’assenza prolungata da casa, soprattutto del pastore, e dalla specializzazione esclusiva acquisita dalla donna nell’andamento di tutto ciò che ruota intorno alla casa e alla famiglia. L’unica persona di cui l’uomo si fida durante le sue assenze è la moglie, Sa meri de ‘omu (la padrona di casa), che acquista così prestigio e potere. L’assenza del marito a seguire le greggi lascia alla donna maggiori spazi non solo all’interno della casa, ma anche all’esterno, poiché le attività domestiche in un’economia agro-pastorale impongono un continuo rapporto con l’esterno: il bosco per raccogliere la legna, la campagna per la lavorazione e la raccolta dei prodotti agricoli, la fonte per l’approvvigionamento dell’acqua, il fiume per lavare i panni. In questi lavori la donna non ha accanto il marito, sono altre donne che l’aiutano, le parenti e le vicine con cui intesse rapporti di scambio e solidarietà e nel contempo intrattiene conversazione. Gli unici momenti di svago, in una esistenza in cui il tempo libero non esiste poiché il suo tempo è totalmente assorbito dalle fatiche domestiche e dalla cura dei figli, sono le relazioni sociali a cui può dedicarsi nei momenti di aiuto reciproco, durante la panificazione, nel tragitto per andare in chiesa, al lavatoio, in una visita alla vicina. Se è innegabile il ruolo fondamentale della donna in tutti i momenti importanti della famiglia e della società, è anche vero che la donna barbaricina ragiona con logiche «maschili». Neppure lei, però, sa se questa è una scelta. Le motivazioni si sono perse nella notte dei tempi. La simbiosi tra i due sessi è perfetta, unica la cultura che ne cementa i rapporti. Madre, sorella, figlia e moglie. In Barbagia non esiste la «single». Se una donna adulta non ha un compagno resta per sempre figlia, rassegnata compagna al tramonto materno, e sorella di uomini. Eppure, con gli uomini ha un singolare rapporto alla pari. La particolarità sta nel fatto che, pur centrale nella famiglia e nel clan, anche nel 1990 la donna viene considerata apparentemente marginale nelle tragedie familiari e collettive. La Barbagia del 2000 è diversa da quella chiusa e fiera descritta dal grande scrittore e giurista nuorese, ma la donna moderna rispetta ancora regole antiche. La commedia della vita, dove tutti sono comprimari e nessuno protagonista, impone agli uomini questo atteggiamento che non è protezione né anacronistica cavalleria. Le donne barbaricine sono austere, non perché devono obbedire ad un’autorità esterna né a precetti religiosi, ma perché la loro dignità e la loro sicurezza sono legate all’osservanza di regole e riti codificati da tempi immemorabili, a valori che la donna barbaricina si è costruita da sé ed ha elaborato nella sua faticosa esistenza, nelle difficili condizioni di vita dove sono maturate dignità e coraggio, ingegnosità e fantasia nella trasformazione e produzione dei beni, grande capacità di lavoro.
La sua immagine sociale, il suo onore, dipendono dalla sua abilità nel provvedere alla casa, allevare i figli, saper amministrare, sempre con estrema parsimonia, ciò che il marito porta a casa. Per essere “una bona meri de ‘omu, la donna deve far fronte ad ogni evenienza: saper sbrigare le faccende burocratiche, “bettai dus puntus”, cioè rammendare, ingegnarsi nell’utilizzare ogni risorsa, anzi ogni residuo, rifuggendo da ogni spreco o rifiuto, deve possedere particolare abilità nella produzione di oggetti pregevoli anche esteticamente: la grande specializzazione nella confezione del pane non è appannaggio di poche specialiste di mestiere, ma di tutte le brave casalinghe. All’interno della famiglia emerge la funzione della moglie e madre, custode degli affetti domestici, esperta delle relazioni sociali e dei rapporti di vicinato e di solidarietà in occasioni di necessità, come i grandi lavori agricoli, il raccolto, i grandi eventi della vita come la nascita, le nozze, la morte.
L’importanza del ruolo della donna sarda nell’unità familiare, non subordinato a quello dell’uomo, è testimoniata dal fatto che la donna porta con sé il suo contributo nel formare una nuova famiglia, a lei spetta l’arredo domestico e il corredo, per controbilanciare il fatto che lo sposo pensa alla costruzione della casa, inoltre continua a usare il suo cognome di nascita e non quello del marito e i suoi beni restano suoi e passano in eredità ai figli senza distinzione tra maschi e femmine. È tipico che prima di prendere una importante decisione, stringere un contratto o decidere di un acquisto o di una vendita, l’uomo dica: “Depu pregontai a sa meri”, “Devo chiedere a mia moglie”. La donna come dispensatrice di vita e di morte, colei che fa nascere, che aiuta a morire con dignità (s’accabadora), che sorveglia la salute e i mali con la sapienza nell’uso delle erbe medicinali, che amministra e conserva i beni con grande saggezza, perché il matrimonio deve accrescere il patrimonio familiare, quello materiale che non deve essere dissipato, quello morale fondato su valori e principi che devono essere trasmessi avendo cura di mantenerli integri.
Una commedia appunto, dove tutti devono recitare una parte, con la massima convinzione, per non turbare delicatissimi equilibri. Eppure la Barbagia sta cambiando. Gli schemi, apparentemente immutabili, vengono lentamente aggrediti da una linfa nuova. In questa comunità che si rinnova, progressivamente e irreversibilmente, anche la donna moderna si guarda intorno. Le giovani non se la sentono di raccogliere la gravosa eredità delle loro madri. Pochi, «rassicuranti» insegnamenti le tengono ancora relegate nella nicchia della tradizione. Intorno, però, una silenziosa volontà di cambiare diventa un vento che solleva e porta lontano la polvere di una cultura secolare. Le cui radici, tuttavia, sono ancora forti. Primo, non mostrare, non portare all' esterno sentimenti e intenzioni che devono essere preventivamente filtrate. E comunque mai pubblicizzate. Solo il rito collettivo del funerale, e solo in alcuni paesi del Nuorese, consente alla donna di dare sfogo in pubblico alle proprie emozioni. Di mostrare alla gente intervenuta a portare solidarietà, ma spesso anche a fare atto di presenza, i problemi della famiglia. Anche nello strazio, comunque, vedove, madri e sorelle non aprono tutti i cassetti dell'anima.
La Barbagia è un arcipelago di differenze. La composta eleganza delle donne bittesi non assomiglia per niente alla gelida alterigia delle mamoiadine. O alla tumultuosa animosità delle orunesi. Un grande spettacolo collettivo di rancori cristallizzati. Madre, sorella, figlia e moglie. In questo rigido concatenarsi di rapporti, la metà del cielo per un uomo è prima di tutto la madre. È lei che prepara il futuro. Solo lei può incanalare la personalità di un figlio, frenarne le intemperanze e limarne le asperità. O soffiare sul fuoco dell'odio e dell' inesperienza fino a fare di un giovane uomo uno strumento di vendetta. Quanto contano le sorelle nella vita familiare? In Barbagia tanto.
Nessuno si stupisce se, al funerale, una sorella domina la scena luttuosa più della vedova. Se è vero che la morte violenta colpisce una moglie negli affetti, l'omicidio è diretto alla famiglia originaria del morto. I legami di sangue sono più forti di quelli di amore. Quindi una sorella, che conosce meglio della vedova i retroscena del delitto, è doppiamente colpita. Nella famiglia e nell'onore. In questa Barbagia che cambia un ruolo fondamentale spetta alle fìglie. A loro, alle giovani che si sforzano di affermare la propria personalità senza sfondare gli steccati che la comunità ha costruito per non morire, il compito di amalgamare il vecchio col nuovo. E le giovani, studentesse, professioniste, migliaia di disoccupate alla disperata ricerca di una sistemazione, stanno lavorando per conervare ciò che di buono offre questa terra, la «Grande Madre».
I mille problemi della società del malessere non intaccano l'amore per la propria terra. Tornando dopo tanto tempo, raccontano i nuoresi, un' irripetibile sensazione di benessere colma il vuoto dell'assenza. L'assenza di luoghi che allontanano ma non respingono, del profumo di casa. Fino a quando ci sarà la grande madre che tiene ancorati i propri figli, la Barbagia continuerà a vivere.

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