Resta all'Italia il non invidiabile primato delle vittime sul lavoro in Europa. Ancora una volta un ragazzo muore lavorando. Il destino, amaro, vuole che, quasi contempo francamente, altri disgraziati, sfortunati lavoratori, in Italia perdano la vita lavorando. Sembra quasi un bollettino di guerra. Non passa giorno che la cronaca non registri una disgrazia gravissima. E pensare che poco tempo prima il presidente Napolitano scagliava tuoni e fulmini contro le morti bianche e contro tutti coloro che sono preposti alla tutela della salute e della incolumità, delle regole. Il governo, a muso duro, aveva disposto una task-force degli ispettori Inail-Asl, che fine hanno fatto?
A cinque mesi dall'entrata in vigore della legge 123/07, che ha stabilito nuove norme in materia di sicurezza sul lavoro, i coordinamenti provinciali delle attività ispettive stanno appena muovendo i primi passi mentre il personale impegnato nella prevenzione infortuni, al ritmo attuale, impiegherebbe 23 anni a controllare tutte le aziende. L'Anmil inoltre sottolinea anche come si intervenga quasi sempre a cose fatte e molto raramente a livello di prevenzione. I sindacati, tutti, proclamavano (meglio strombazzavano) agitazioni, presidii, minacciavano scioperi. Tutte le forze politiche facevano la loro parte con una sorta di gara (tra di loro) con una speculazione senza precedenti. Perché accadono certi infortuni fino a causare la morte del lavoratore?
Siamo il Paese, in Europa, che registra il più alto numero di incidenti sul lavoro con tutte le conseguenze invalidanti che ricadono sulla collettività prima, e sulla sofferenza dei parenti dopo. Nelle cifre ufficiali, seppure meno allarmanti di quelle relative alle vittime, non sono compresi gli incidenti che non vengono denunciati da chi è impiegato nell'ambito del lavoro nero dove, secondo l'Inail, si verificherebbero almeno 200 mila casi. Per evitare tutto questo scorrimento di sangue occorrerebbe un maggiore investimento sulle attività di prevenzione e controllo, l'introduzione di sanzioni adeguate alla gravità ed alle conseguenze dei comportamenti, l'organizzazione di un apparato amministrativo e giudiziario che assicuri l'applicazione certa e rapida delle sanzioni e la promozione di iniziative informative, formative e culturali che sviluppino nel medio-lungo periodo una maggiore attenzione alla prevenzione.
Ma non si fa assolutamente nulla, solo silenzio. Vergogna per il silenzio totale del colle, dei sindacati, delle autorità. Brutto silenzio! Meglio le urla! Fa più notizia l'aggressione ad un cinese da parte di un gruppo di bulletti che la morte di tanti padri di famiglia che per tirare a campare lavorano forse più di quanto il loro fisico richiede. La notizia che il clan dei casalesi, che se ne infischia dei soldati mandati a presidiare, che ammazzano davanti a tutti una persona fa da cornice, triste, rabbiosa, a un quadro sociale e politico che ha, sotto questo aspetto, ovvero la sicurezza, dell'incredibile ma squallidamente vero disastro. Siamo in mano al destino, al caso, viviamo di speranze. Dobbiamo rassegnarci?
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