lunedì 5 maggio 2008

Cabras - Ipogeo di San Salvatore di Sinis

A pochi chilometri da Cabras si trova San Salvatore, uno villaggio dell'oristanese, la cui chiesetta consacrata al Salvatore, fu costruita nel XVII secolo e attorno si sviluppò il villaggio di "cumbessias", alloggi per i pellegrini che si recavano a San Salvatore per compiere il proprio percorso devozionale. Qui si può ammirare un interessante pozzo sacro ipogeo che presenta tracce di frequentazione già dal Neolitico. Sin da epoche antichissime si evidenzia la sua vocazione cultuale. In età nuragica vi fu scavato un pozzo sacro per il culto delle acque; nel periodo punico l'area fu dedicata a Sid, il dio guaritore; i Romani vi praticarono il culto di Asclepio; in età cristiana, il luogo fu destinato ai riti in onore del Salvatore. L’ attuale architettura risale all'età imperiale romana (IV secolo d.C.). A confermare l’antichità dell’insendiamento umano nel territorio di San Salvatore è intervenuta la scoperta di una statuetta di Dea Madre in marmo riferibile alla cultura di Abealzu-Filigosa (Eneolitico iniziale: 2700-2400 a.C.),

All'ambiente sotterraneo, la cui parte inferiore è interamente scavata nella roccia, mentre quella superiore è realizzata con filari di mattoni e blocchi di tufo intonacato, si accede mediante un ingresso che si apre nel pavimento della chiesa e che immette in una stretta scalinata scavata nella roccia, coperta da un voltino a botte, al termine della quale si apre un corridoio alla fine del quale sono aperte due porte, una di fronte all’altra, per le quali si perviene alle prime due camere. Le prime due stanze (A e B) hanno pianta rettangolare di m. 4,30 x 3,26 ciascuna, coperte ancora esse con volte a botte con lucernario e sul pavimento di ciascuno di essi si apre un pozzetto destinato a raccogliere i residui dei pasti rituali. Lo stretto passaggio fa capo ad un vano circolare, coperto da volta a bacino ed illuminato all’alto, che costituisce il nucleo centrale delle catacombe, comunicando esso con altre due camere laterali terminate da absidi e con altra circolare, che è l’ultima dell’edificio sotterraneo. Si ha una disposizione planimetrica, che ricorda i più antichi edifici cristiani: la struttura è prettamente romana con muratura di laterizi opportunamente collegata con altra di pietrame informe. Nell'ultimo ambiente, infine, si trova il pozzo, fulcro effettivo dell'intera struttura. Le pareti delle diverse camere sono intonacate a stucco lucido, conservante tutt’ora traccia di antiche pitture. Più che pitture sono schizzi, figure eseguite a caso, alcune abilmente, altre con tecnica ed arti infantili. In una parte di una camera absidale sono tracce di un gruppo interessantissimo rappresentante una lotta fra un leone ed un uomo dalle forme erculee. Nelle altre pareti e nell’abside della stessa camera sono schizzate alcune navi, due leoni, un Eros e diverse figure di donne delineate con maestria dal tipo classicamente pagano. Esse vennero eseguite al di là di qualunque preoccupazione mistica e sono di gentile arte, piene di grazia voluttuosa e di vita. Una di esse dalle linee formose, che rievoca la Venus Genitrix, solleva con un mano i veli che le coprono i turgidi seni e le belle forme. Fra questi schizzi e queste figure di donne ricorre spesso un curioso monogramma, costituito dalle lettere RVF, scritto lmento otto volte, in punti e sostanze diverse, sovrapposto o mescolato ad altri elementi, aggiunto a caso e in modo tale da non rientrare in nessun piano ortanico di sistemazione, che significherebbe, "guarisci"), e sono intercalate frasi scritte in greco corsivo, latino (generalmente in corsivo) e perfino arabo (si tratta di iscrizioni del XVI-XVII secolo relative alla fede islamica). la di cui esatta interpretazione potrà portare non lieve luce sulle origini di queste forme pittoriche. Presenti anche pitture databili a diversi periodi e riconducibili sia ai culti pagani (Dea tra le fiere, Proserpina dagli Inferi, Pegaso, Ercole che strozza il leone) sia cristiani (pesce, pavone). Di grande valore storico e culturale, l'ipogeo attesta che il luogo fu frequentato sin dall'epoca nuragica, quindi da Punici e Romani, per divenire infine centro di culto cristiano. Probabilmente utilizzato in origine per il culto salutifero delle acque, il santuario fu poi consacrato, in età punica, a Sid, dio guaritore, mentre in epoca romana fu forse destinato al culto di Asclepio. La continuità fra culti salvifici di diverse civiltà, infine, è avvalorata, oltre che dalla sopravvivenza del pozzo sacro, dalle numerose raffigurazioni pittoriche conservatesi sulle pareti di quasi tutti i vani - con scene di divinità strettamente connesse a riti di liberazione e salvezza. Infine, in posizione opposta rispetto all'ingresso, c'è un ambiente (F) più grande rispetto a tutti gli altri, absidato, coperto a volta su cui si aprono due lucernari. Anche in questo vano vi è un pozzo con acqua sorgiva. Nei vani B ed F sono collocato due rozzi altari per il culto cristiano, ai lati dei quali un grosso bacino nuragico è stato riutilizzato come acquasantiera. Negli anni 1935-38 e 1973-79 l'ipogeo è stato scavato e restaurato a più riprese. Negli anni settanta sono stati rifatti interamente la scala e il pavimento di tutti i vani.

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